La gestione documentale disegnata nelle Linee guida Agid non si realizza semplicemente applicando le norme, che peraltro hanno di per sé bisogno di interpretazione e di contestualizzazione, sia per la complessità della materia affrontata e della lunga tradizione giuridica di riferimento, sia per la diversità degli enti cui le disposizioni sono rivolte. È la stessa funzione documentale che non può ridursi alla passiva adozione di regolamenti, per quanto dettagliati possano essere. Da sempre, nei secoli e soprattutto nel mondo contemporaneo e ancor più nella dimensione digitale, formare documenti e archivi implica la presenza di una struttura e di personale dedicati (e specializzati) e la predisposizione di strumenti specifici in grado di dare concretezza operativa e struttura a funzioni e attività che il legislatore non può che declinare in termini generali.
L’analisi di questi strumenti è di norma oggetto di percorsi formativi gestiti sia a livello universitario (nei corsi di laurea magistrale e nei percorsi di terzo livello – scuole specialistiche e master – che includano il profilo archivistico) sia nelle attività di aggiornamento professionale. In questa sede ci si limiterà ad affrontare – in un numero limitato di contributi – quegli aspetti tecnici più impegnativi della questione, senza i quali peraltro la trasformazione digitale rischia di tradursi in un sostanziale bluff, cioè – per usare la pregnante definizione del Vocabolario Treccani – in una “vanteria infondata, montatura, finzione, soprattutto al fine di far credere a concorrenti o avversari [in questo caso cittadini, auditor, utenti] possibilità che in realtà non si hanno”.
Le conseguenze sono facili da elencare – dato che le abbiamo tutte sperimentate da decenni – e si traducono in investimenti improduttivi (quindi in costi inutili), nella disillusione dei nostri interlocutori interni ed esterni e soprattutto nella incapacità di cogliere seriamente le potenzialità di miglioramento e innovazione che le tecnologie sono in grado di offrirci. Nell’epoca del PNRR si tratterebbe di un errore imperdonabile.
Gestione documentale e Linee guida AgID: requisiti, strumenti e regole da approfondire
Date queste premesse abbiamo ritenuto utile avviare una serie di approfondimenti, che seguono il primo focus sulle Linee guida Agid, e che riguarderanno: la classificazione archivistica, l’organizzazione del piano di formazione delle aggregazioni documentarie, la disciplina delle copie e la certificazione di processo e naturalmente il sistema di conservazione/archiviazione digitale.
Come le Linee guida di Agid riconoscono, pur concentrandosi sulla formazione dei documenti informatici, i documenti, qualunque sia il loro formato, non nascono e non si gestiscono come entità isolate, ma – in quanto prodotto di attività concrete – sono parte di un insieme organico e strutturato, costituito da informazioni e regole oltre che da documenti, destinato a rispecchiare la concreta attività dell’ente che li produce o li riceve a fini di trasparenza, di testimonianza, di rendicontazione.
Non è perciò sufficiente la loro registrazione, per quanto completa e accurata: sono necessari (e, infatti, obbligatori) attività e strumenti di organizzazione dei documenti che ne definiscano le connessioni rilevanti, in grado di tradurre il flusso informativo in vere e proprie aggregazioni funzionali al processo decisionale, facili da ricercare e idonee a dar conto del lavoro che si svolge documentando le attività quotidiane.
Data la quantità di informazioni da acquisire e mantenere e la complessità delle relazioni che si creano nell’esercizio delle attività degli enti (pubblici o privati), questo risultato è possibile ed è anche efficiente se ottenuto applicando principi adeguati, frutto di uno studio che da un lato si sia nutrito delle discipline di settore (in questo caso dell’archivistica), dall’altro sia in grado di tener conto delle specificità istituzionali, funzionali e organizzative degli enti stessi.
Stiamo parlando di due attività – la classificazione d’archivio e la formazione e organizzazione delle aggregazioni documentali (fascicoli e serie) [1] – tanto fondamentali quanto sottovalutate anche in ambito pubblico – senza le quali i documenti si presentano come monadi prive di valore se non nella concretezza della singola transazione.
La classificazione: perché è centrale per la gestione documentale nella PA
In questa sede, concentreremo l’attenzione sulla classificazione e sullo strumento di riferimento, il titolario o piano di classificazione. Entrambi – la classificazione e il titolario – sono alla base della gestione documentale e guidano la creazione dell’archivio, di cui costituiscono una condizione fondamentale di qualità, soprattutto per la pubblica amministrazione, purché rispecchino le funzioni e le attività svolte dall’ente stesso.
Solo grazie a queste caratteristiche, infatti, sono in grado di:
- assicurare una base per l’efficace progettazione del sistema documentale;
- favorire il buon andamento dell’organizzazione, mettendo a disposizione dei decisori e delle strutture operative la documentazione di supporto con coerenza, completezza ed efficacia;
- incoraggiare un agire amministrativo trasparente e qualificato.
Si tratta, quindi, di finalità ambiziose che trasformano la classificazione in un’attività impegnativa, la cui realizzazione richiede conoscenze e abilità specifiche di natura archivistica, ma anche attenzione per la dimensione organizzativa.
La classificazione: quali caratteristiche deve rispettare
In termini operativi, attraverso le attività di classificazione, tutti i documenti che si riferiscono allo stesso tipo di attività sono identificati con lo stesso indice di classificazione (cioè il codice alfanumerico che rappresenta le partizioni del piano di classificazione). Per esempio, tutti i contratti di manutenzione di un edificio o i fascicoli riferiti a un progetto di ricerca condividono lo stesso indice di classificazione. Sono oggetto di classificazione non solo i documenti testuali, sia pure informatici, oggetto di registrazione, ma anche le informazioni che in ambiente digitale assumono ormai nuove forme quali le basi di dati, i siti web, le informazioni gestite dall’ente nei propri ambienti di social network, i documenti formati nell’ambito di applicativi verticali.
Per quanto riguarda il titolario, o piano di classificazione, in base alle buone pratiche che applicano principi archivistici consolidati, lo strumento deve:
- essere unitario e applicato a tutto l’ente;
- essere fondato su principi di uniformità ricostruibili e conosciuti dai dipendenti;
- coinvolgere attivamente il personale;
- fornire elementi utili a consentire la ricerca a utenti anche esterni alle singole strutture e all’ente stesso.
In considerazione di quanto finora illustrato, si può sostenere che la classificazione non possa in alcun modo ridursi a semplici interventi di indicizzazione, ma abbia un ruolo di organizzazione attiva in quanto finalizzata all’ordinamento funzionale dei documenti che si applica in modo sistematico a tutti i documenti rilevanti di un ente, documentando con certezza il lavoro svolto, assicurando stabilità alla memoria e guidando, come si chiarirà meglio in uno dei prossimi articoli, la creazione di fascicoli e di serie di documenti.
Le conseguenze operative della natura strutturale della classificazione sono stringenti. Poiché ogni documento deve essere ricondotto a una classe o a una tipologia ed è posizionato sempre in un fascicolo o in una serie, non possono esistere in un sistema documentale correttamente gestito documenti non classificati. Inoltre, poiché la classificazione guida la formazione delle aggregazioni documentarie, tutti i documenti di un fascicolo o di una serie condividono lo stesso indice di classificazione.
Documenti digitali: tutti i vantaggi di una corretta classificazione
Se teniamo in debito conto i requisiti qualificanti del titolario, appaiono evidenti anche le buone ragioni che hanno spinto il legislatore a rafforzarne l’obbligo di utilizzo nella dimensione digitale. Lo strumento consente, infatti, di:
- garantire la stabilità nell’organizzazione dei documenti sin dalla loro formazione (evitando il disordinee la frammentazione, il disorientamento degli utenti e la perdita di mezzi per la verifica dell’autenticità);
- assicurare il controllo e il collegamento interno nel caso di archivi ibridi, cioè archivi che comprendano sia documenti digitali che analogici;
- permettere l’identificazione di tutti i tipi di documenti e di dati di valore archivistico e giuridico rilevanti che altrimenti sfuggirebbero ai sistemi di cura dell’informazione;
- supportare il processo decisionale in tutte le sue fasi e, in particolare, la gestione di procedimenti;
- sostenere le attività di selezione (non solo in termini di scarto e conservazione ma anche per la digitalizzazione), evitando la ridondanza o investimenti inutili;
- consentire l’individuazione di responsabilità chiare per la gestione dei documenti e per la continuità amministrativa;
- sostenere l’efficienza dell’archivio assicurando a chiunque ne abbia diritto l’accesso alla documentazione e limitando comportamenti inevitabilmente discrezionali di “archiviazione personale”;
- irrobustire la gestione della trasparenza offrendo strumenti utili ai cittadini per orientarsi verificando il buon andamento della cosa pubblica, ma anche fornendo supporto alle attività di audit interne ed esterne;
- facilitare il turn over e la formazione delle risorse impegnate in tali attività.
Concretamente, la classificazione è concepita e progettata con riferimento alle attività svolte dall’ente, senza tuttavia corrispondere all’organigramma esistente, ed è organizzata in livelli gerarchici (funzioni o macroprocessi/attività) anche al fine di rendere più facile agli operatori l’individuazione della classe di appartenenza del documento che si sta registrando o fascicolando.
Classificare i documenti d’archivio significa inoltre normalizzare la formazione dei fascicoli:
- riunendo tutti i documenti relativi allo svolgimento di una attività, di un affare o di un procedimento e distinguendoli da quelli relativi ad attività, affari o procedimenti diversi;
- assicurando che in uno stesso fascicolo siano aggregati tutti i documenti relativi alla stessa attività, allo stesso affare o allo stesso procedimento.
Come si è detto, in ambiente digitale la classificazione – oltre ad essere un obbligo previsto dalla normativa (art. 64 c. 4 del DPR 445/2000) – offre nuove possibilità:
- il recupero più rapido dell’informazione documentale (soprattutto se supportata da strumenti avanzati di indicizzazione collegati al piano di classificazione e non solo al contenuto dei documenti);
- la diversificazione del trattamento e della comunicazione dei documenti, per esempio distinguendo ed evidenziando materiali di alto contenuto informativo, quali delibere, verbali, pareri, accordi;
- maggiore coerenza, qualità ed efficacia nella gestione dei dati del sistema informativo documentario, collegando per esempio alle classi che formano il piano dizionari controllati e strutturati in grado di guidare l’operatore o l’utente nell’uso dello strumento.
Perché la classificazione abbia successo è, tuttavia, indispensabile che siano garantiti requisiti di efficacia e di sostenibilità applicativa. In particolare, il piano di classificazione deve essere semplice ed evitare voci inutili o ambigue, essere applicato a tutta la produzione documentale e integrarsi con procedure e prassi adeguate (predefinite e insieme flessibili) di fascicolazione “razionale” che siano utili per chi lavora, idonee a sostenere il processo decisionale, compatibili con le esigenze di selezione e con le criticità organizzative. È quindi indispensabile che, oltre a una accurata elaborazione del titolario, siano programmate azioni specifiche di verifica della sua qualità e di monitoraggio della sua corretta applicazione.